Un grande scienziato (quasi) dimenticato

Difficilmente si sente parlare di John Michell, grande scienziato inglese del 700, nonostante i molti contributi portati dai suoi studi alla scienza. Forse perché la sua fama venne offuscata da quella di altri scienziati inglesi quali Newton, Cavendish, Young ed altri o forse perché le sue idee erano troppo in anticipo sui tempi. È anche poco probabile che il suo nome venga trovato fra le pagine di qualche enciclopedia. Si accenna a Michell solo in caso di presentazione di argomenti sui buchi neri.

John Michell nacque il 27 dicembre del 1724 (tre anni prima della morte di Newton) a Nottinghamashire. Studiò all’università di Cambridge laureandosi nel 1752, diventando prima membro del Queens’s College, poi nel 1762 professore di geologia. Nel 1760 venne eletto membro della Royal Society.

Durante il periodo accademico si occupò di magnetometria tanto da esserne considerato oggi il padre. Studiando il disastroso terremoto che distrusse Lisbona nel 1755 congetturò che era stato provocato da una perturbazione della crosta terrestre avvenuta sotto l’oceano atlantico iniziando così la scienza della sismologia (altra paternità). Nel 1763 conseguì il titolo di Bachelor in teologia e l’anno seguente lasciò l’università e si ritirò in campagna come parroco di Thornhill nello Yorkshire.

Anche se diventato pastore di anime il reverendo Michell non rinunciò mai ai suoi interessi scientifici. Anzi, si può sicuramente dire, che sviluppo più e migliori idee di quando si trovava a Cambridge. A Thornhill incontrò spesso Wilhelm Herschel e non smise di confrontarsi con Henry Cavendish, suo fraterno amico, con il quale intratteneva un’intensa corrispondenza (purtroppo in gran parte perduta).

In un saggio pubblicato nel 1767 fu il primo ad ipotizzare che fra le moltissime stelle doppie visibili, alcune dovevano essere associate fisicamente fra loro (legate dalla loro reciproca attrazione gravitazionale) indicando così l’esistenza di stelle binarie. Tentò anche per primo di misurare la distanza di una stella basandosi sulla luminosità di Vega.

Inventò lo strumento che oggi chiamiamo bilancia di torsione adatto alla misura di forze di valore molto piccolo e suggerì l’esperimento da fare per la misura della forza di gravità. Questo permise a Cavendish, che lo realizzò, di diventare “l’uomo che ha pesato la terra”.

L’idea che più affascinava Michell, supportata dalla teoria Newtoniana della luce, era quella di poter determinare le caratteristiche delle stelle ovvero la loro distanza, la loro grandezza e la loro massa mediante la misura dell’effetto gravitazionale esercitato dalla luce (i corpuscoli di luce) emessa dalla loro superficie.

Nel 1783 pubblicò nelle “Philosophical Transactions of the Royal Society un saggio che poi venne presentato, nella sede della stessa società da Henry Cavendish. In questo saggio si sottolineava che una stella di massa e densità sufficientemente grandi avrebbe avuto un campo gravitazionale talmente forte da impedire anche alla luce di sfuggire. Un qualunque raggio di luce proveniente dalla superficie della stella sarebbe stato trascinato indietro dalla forza gravitazionale. Michell si convinse che potessero esistere molte stelle dotate di questa proprietà. Non potendole vedere a causa della mancanza di luce emessa avremmo comunque avvertito la loro presenza osservando gli effetti gravitazionali sui corpi adiacenti.

Chiamò queste stelle: “Dark star”. Oggi le chiamiamo: “Buchi neri”. Così scrisse nella sua memoria:

Figura 1

Supponendo che le particelle di luce potessero essere attratte dalla gravità come qualunque altro corpo dotato di massa e, conoscendo il concetto di “velocità di fuga” formulato da Newton, Michell elaborò una relazione molto simile a quella che oltre un secolo dopo metterà in relazione la massa con il raggio di Shwarzschild.

La velocità di fuga, ovvero la velocità necessaria per liberare una massa m dalla forza gravitazionale di un corpo celeste di raggio R e massa M, può essere calcolata eguagliando l’energia potenziale U, acquistata dalla massa m per essere trasportata dall’infinito alla superfice del corpo celeste, all’energia cinetica K necessaria a riportare la massa m dalla stessa superficie all’infinito.

Allora, posto:

$$ U = – G \cdot \frac{mM}{R} \:e\: K = \frac{1}{2}mv_f^2$$

Si ha, tenendo conto che per il principio di conservazione dell’energia K=U, e che quindi la loro somma deve essere uguale a zero:

$$ \frac{1}{2}mv_f^2 – G \cdot \frac{mM}{R} = 0$$

Si perviene così alla velocità di fuga:

$$v_f = \sqrt\frac{2GM}{R}$$

Tornando alle particelle di luce della teoria corpuscolare di Newton e impiegate da Michell per sviluppare la sua teoria si rende necessario introdurre nella relazione precedente una velocità di fuga uguale a quella della luce pertanto si dovrebbe scrivere:

$$c^2 = \frac{2GM}{R} $$

E da questa ricavare il valore R che è il raggio della superficie circondante il corpo celeste dalla quale niente può uscire, nemmeno la luce.

$$R = \frac{2GM}{c^2}$$

Oggi questa superficie viene chiamata “Orizzonte degli eventi” ed il suo raggio “Raggio di Schwarzschild

Il reverendo John Micell morì a Thornhill il 29 aprile del 1793.

Per quanto scritto sopra potrebbe essere considerato, a ragione, il “padre dei buchi neri”.

Nota:
Mancando della teoria della relatività, John non poteva sapere che sarebbe stato impossibile avere corpuscoli, dotati di massa, viaggianti alla velocità della luce. Infatti, per quanto minuscoli fossero stati, non sarebbero sfuggiti alla legge della variazione della massa con la velocità:

$$m = \frac{m_0}{\sqrt(1 – \frac{v^2}{c^2})} $$

Gli unici “corpuscoli” che raggiungono tale velocità sono i fotoni che hanno massa uguale a zero.

Per un’idea sulla relazione di Michell alla Royal Society vedi:
Lettera a Henry Cavendish, pubblicata nel 1784 nelle “Philosophical Transactions of the Royal Society” VII, pp 35 – 37. Visualizza sull’archivio della Royal Society

Figura 2

Questo articolo è stato pubblicato sul mio profilo LinkedIn il 26.10.2019:
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